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Dal Mito allo sport

Posted by Taianokai on Novembre 30, 2012

Dal Mito allo sport

Si conclude qui il trittico apologetico del Budo iniziato con Mudan no Shin e Sull’uso improprio della Spada.
La mentalità evoluzionista, non da oggi dilagante e del tutto estranea alle Tradizioni Spirituali, non risparmia neanche il Budo, quindi neanche la Spada giapponese e le Vie ad essa legate (Ken-Do e Iai-Do). La Cultura, che pure è presente nel panorama mondiale, anzi mondialista, essendosi ormai intellettualizzata e posta più come dotta informazione che come precetto pratico, non riesce a porre un argine all’esondazione del fiume del “progresso”, secondo cui, nonostante le più svariate e clamorose smentite, quello che viene dopo è sempre meglio di quel che c’era prima.

A proposito di cultura ricordiamo come essa sia strettamente associata a coltura, dal latino colere: coltivare, attendere con cura, e sia quindi da riferirsi alla coltivazione dell’uomo quale campo da arare, seminare e far fruttare, operazione spirituale oggi (quasi) impossibile dato l’influsso evoluzionista per il quale le Discipline legate alla Spada giapponese, e del Budo in genere, subiscono sempre più l’adulterazione sportiva, scadendo in un ibridismo tanto più seducente quanto più equivoco.

La Cultura ci dice che la Spada giapponese (e non solo essa) ha origine nel Mito, il quale, neanche a dirlo, non concepisce lo sport. Nel Mito, la Spada non è mai un oggetto sportivo bensì un strumento sacro che condensa in sé prima di tutto il Mistero, ma poi anche l’Autorità e la Giustizia. Se poi guardiamo alla Storia vediamo come dalla Spada scorrano Sangue, Eroismo, Arte, Spiritualità e mai lo “sport”, termine rinascimentale, e perciò modernissimo, dovuto all’abbreviazione dell’inglese “disport”: diporto, divertimento, svago, ossia nulla di più estraneo al Budo.

La si metta come si vuole, lo spirito sportivo – magari con la furbesca scusa di “superare se stessi vedendo nell’altro i propri limiti” – esige la “competizione”, inducendo ad essere “primi” superando gli altri, ciascuno dei quali, ovviamente, è anch’esso proteso verso il “titolo”, verso l’“affermazione in campo nazionale, europeo e mondiale”. Come si vede, si tratta di una vera e propria caduta di stile, di un abbandono del Mito, del Mistero, dell’Arte, della Spiritualità, cioè di tutto ciò che può veramente trasformare l’uomo rendendolo umile, cioè libero dal proprio ego (ricordiamo che umile deriva da humus : terra fertile!).

Gli è che lo sport non umilia l’uomo bensì, al contrario, lo esalta e lo spinge a migliorare le proprie prestazioni in vista di traguardi anti-mitici al cui raggiungimento, invece di un’autentica trasformazione, corrisponde un potenziamento dell’esaltazione di sé, dell’autocompiacimento, del sentirsi “qualcuno”, dell’aver avuto “successo”, del piacere di sentirsi acclamati, dell’arricchimento e dell’ostentazione del proprio “stato di servizio” o “lista dei successi”, in breve dello straripamento dell’ego.

Per fornire un motivo di riflessione circa l’abisso che separa il Mito dallo sport, e sulla conseguente degenerazione delle Vie, si cita il noto episodio raccontato nel Kogiki (Cronaca dalle storie antiche):

«Allora poiché il veloce Susa-no-wo-no-mikoto sfoderò la lunga spada di dieci spanne che cingeva al fianco, tagliò Worochi e ne sparse le membra, il fiume torbido che scorreva era diventato di sangue. Nel tagliare la coda del mostro, la lama della spada si scagliò leggermente. Susa-no-wo giudicò la cosa strana e lacerando (la coda) con la punta della spada trovò una lunga lama affilata. Dopo averla presa, pensò che fosse un oggetto prodigioso e la donò alla Grande Dea Ama-terasu. Questa era la spada Kusanagi».

Ricordando come mito, dal greco mythos, significhi parola, e precisamente parola che porge e ri-vela una verità, – parola/mistero – il praticante di Spada giapponese dovrebbe lasciarsi affabulare dal racconto mitico, cioè dalla favola (da fabula, equivalente latino di mythos); dovrebbe rimanerne affascinato e farsene rapire per accedere nel regno dei simboli  divini (kami-tsushirushi) fra i quali figura la Spada Kusanagi, la Tagliatrice d’erba o Spada del Paradiso, di modo che, con il loro magnetismo immaginifico, i simboli costituiscano un cerchio magico protettivo dalle influenze profane, quale è, nel caso del Budo, l’influenza sportiva.

Non sarà inutile, restando affabulati dal Mito, considerare come la Spada, oltre che dal Gioiello o Collana (Yasaka-ni no maga-tama) sia inseparabile dallo Specchio, del quale nel Nihonshoki o Nihonji (Annali del Giappone) si dice che fu fatto per riflettere l’immagine di Ama-terasu, la Dea del Sole, e fu affidato a Ho-no-ninigi  quale suo rappresentante sulla terra, come risulta da quanto espresso nel Divino Oracolo (Shinchoku) della stessa Dea del Sole: “Questo specchio altro non è che il mio augusto spirito (mi-tama) e devi adorarlo come se adorassi me stessa”.

Pertanto, come la Spada, quale strumento sacro, ma anche ascetico – dal greco askesis, esercizio fisico-spirituale – è il simbolo dell’Azione, così lo Specchio lo è della Luce solare e quindi della Contemplazione che ha da illuminare l’Azione. È lampante come questa possibilità sacro-ascetica sia inaccessibile allo spirito sportivo, il quale, anzi, non solo le è di ostacolo ma da luogo, è bene ribadirlo, ad un ibridismo tanto più seducente quanto più equivoco, ambiguo, subdolo, dal momento che induce molti, troppi  praticanti ad illudersi di poter, come si dice, “salvare capra e cavoli”.

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P.S. Approfitto di questa occasione per ricordare con simpatia ed affetto Mario Bottoni scomparso di recente. Lo conobbi a Roma nei primi anni 80 quando fu ospite dell’Accademia Romana Kyudo, diretta dal Dr. Placido Procesi ed alla quale a quell’epoca ero affiliato. Ricordo che ci intrattenemmo in una esercitazione di Kendo presso la palestra Fiamma Yamato, al termine della quale cenammo insieme trascorrendo una bellissima serata. Indubbiamente la scomparsa di Bottoni rappresenta una perdita non indifferente per il Kendo, anche se, come rileva Luigi Rigolio nel bell’articolo L’eredità di Bottoni, pubblicato nella rivista on line della CIK, «importanti dilemmi ritorneranno all’ordine del giorno», specialmente, si spera, riguardo alla bottoniana «opposizione all’agonismo programmatico» non meno che alla «relazione forte con la fonte originaria del kendo».

Kodo: lo spettacolo “Amaterasu” con Bando Tamasuburo (2006)
da: ichiban.carmencovito.it