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Il clan

Posted by Taianokai on Febbraio 12, 2010

Brani proposti

Il clan è la più antica delle istituzioni umane, anzi è l’espressione essenziale dell’uomo sulla terra. Perduta di fatto l’unità per il peccato di Adamo, il senso e la consapevolezza di essere era indispensabile all’uomo per non morire del tutto e saper tendere verso la salvezza. Anzi possiamo dire che il clan è simbolo della salvezza medesima, la prima presenza del Redentore tra i discendenti di Adamo a dar loro modo di ritrovare l’unità perduta. «Ut unum sint…» sarà il fine eucaristico del sacrificio di Gesù, e dai primi momenti della storia umana il fine del clan è fine eucaristico e speranza di Chiesa. Si tratta di un’istituzione naturale, è vero, già siamo all’apice della natura, e l’azione soprannaturale della Grazia è consapevolmente attesa ed invocata. Già la circoncisione, rito antico quanto l’umanità, è segno della volontà libera sul prepuzio di carne, è simbolo della soprannatura a segnare la natura in tutta la sua carnale evidenza. E le abluzioni, altrettanto antiche quanto la circoncisione, son segni di morte e di rinascita ad una vita nuova oltre la vita naturale.

Nel clan l’uomo si evolve e si afferma, nel clan si svolge tutta la sua attività, al clan tende tutta la sua esistenza terrena. Dai moderni individualisti che continuano ad equivocare tra individualità e personalità, il clan è stato giudicato quale negazione del libero evolversi della persona umana, ma tutta la storia del pensiero occidentale ha ormai provato il contrario, in questi ultimi cinque secoli, con fatti evidentissimi.

In realtà nel clan l’individuo muore perché la persona risorga all’unità, all’armonia e alla vita vera. L’uomo viene con ciò situato al proprio posto, e cioè ad esercitare quelle funzioni che il clan a lui richiede; e tale ordine armonia unità non si limita ad essere manifestazione esteriore, bensì esercita la sua influenza nell’educazione stessa dell’individuo che in quell’ambiente ordinato è chiamato a vivere. D’altronde si tratta di riti, di ordine religioso, ed errerebbe che volesse vedere nel clan un fenomeno collettivo; di collettività non si può più propriamente parlare in quanto ne è stata superata la misura che è l’individualità. È infatti collettivo ciò che è somma di più individui. Mentre il clan è armonia di persone nell’unità. Ed è unità che non può dirsi fisica, ché sul piano fisico son possibili solo manifestazioni individuali e collettive; né è unità razionale-affettiva, ché razionalità e affettività sono sempre manifestazioni di ordine individuale; bensì unità superrazionale e quindi rituale, non per questo meno sentita e meno viva, non per questo meno capace di nutrire ed ordinare razionalità, affettività, pensiero e la stessa vita fisica dell’uomo […]

Attilio Mordini, Verità del linguaggio (ediz. Volpe).

Il clan era solito radunarsi in una foresta, in una radura, su di un terreno circolare ove non crescevano alberi. Questa radura, anche secondo Tacito, era detta lucus; è un termine che muove dalla radice indogermanica LEUK (da cui appunto il greco likè) a indicare la luce. E il lucus era la luce che splende nelle tenebre, nelle tenebre simboleggiate, appunto, dalla foresta, che si estende ovunque, tutto all’intorno. Là, nel lucus, il clan celebra i suoi riti; là, nel lucus, ci si ordina alla danza sacra, alla danza che ripete il muoversi degli astri del giorno e della notte nel cerchio dello zodiaco; là, nel lucus, l’uomo si educa. Veramente libero, crea la sua personalità secondo la legge sacra. E ne trae gioia! La gioia di poter amare quelle forme a cui s’è educato, e di poterle ogni volta riconoscere; ogni volta le stesse, e pur tuttavia sempre nuove in lui, di volta in volta rinnovato dal rito.

Attilio Mordini, dal saggio Per una metafisica dello spettacolo in Adveniat Regnum n. 3-4, 1968.

Il “succo” della conversazione:

«Il clan è armonia di persone nell’unità».

Una Scuola tradizionale, sia essa di Spada o quant’altro, è a tutti gli effetti un clan nel quale l’uomo ha la possibilità di evolversi ed affermarsi. In quanto clan, una Scuola tradizionale fruisce di una Luce super-individuale che, proprio in quanto tale,  “uccide” l’individuo affinché «la persona risorga all’unità, all’armonia e alla vita vera». A tal proposito è necessario tenere presente l’imprescindibile differenza tra personalità e inidividualità: «La personalità è il principio trascendente dell’essere, mentre l’individualità ne è la manifestazione contingente e transeunte» (Attilio Mordini, Verità del linguaggio). L’uomo è nel contempo persona e individuo, e nel clan egli ha l’opportunità, grazie alla sinergia dell’impegno personale e della Luce, d’infrangere il sepolcro dell’individualità dal quale, finalmente, risorge la persona.

Per una Scuola tradizionale di Spada giapponese il Lucus, cioè il luogo in cui splende la Luce, è il Dojo. Fuori del Lucus/Dojo impera la foresta tenebrosa. Nel Lucus/Dojo la Compagnia della Spada Tai-A, incessantemente e con gioia, «celebra i suoi riti»: Kashiwade, il rito di collegamento ai Kami (Esseri superiori) ed alla Sorgente pura della Forza; il Mokuso, la Contemplazione, il Kata, «la danza sacra».