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Hiroshige: La Carpa

Posted by Taianokai on Maggio 18, 2009

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«Alla fine / il suo destino è trasformarsi / in un drago delle nuvole:

la forte carpa / che risale il torrente».

 

«Matsu tsui ni / kumoi no tatsu no / narinubeshi /

Kawase o noburu / koi no ikioi».

 

 

Per la determinazione con cui risale le correnti impetuose, la carpa è il simbolo del coraggio e della perseveranza. Secondo una leggenda cinese, vincendo ostacoli e spiriti ostili, essa riesce a risalire le rapide del Fiume Giallo e quindi a trasformarsi in drago, acquisendo così il dono dell’immortalità.

La carpa è quindi anche simbolo della virilità necessaria alla realizzazione spirituale che è l’impresa dello shugyosha (il praticante). Rimanendo immobile e senza tremare sul tagliere (a differenza di altri pesci) essa evoca l’atteggiamento del bushi di fronte alla morte.

In merito all’Arte della Spada si può sintetizzare:

 

                                      Shugyo: il severo addestramento.

                                      Yu: Il coraggio.

                                      Dorioku shojin: la perseveranza nello sforzo.  

 

 

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Nuvole e Carpe

 

Nei monasteri zen la vita inizia di mattino molto presto, alle tre o alle quattro a seconda che sia estate o inverno. Dopo il rito del lavarsi, i monaci si siedono nel primo Zazen del giorno per circa un’ora e recitano i Sutra del mattino. La colazione, che si chiama Shukuza, è alle sette. Un monaco percuote un gong di ferro a forma di nuvola; i monaci zen vengono anche chiamati Unsui, parola che significa nuvola e vento e si riferisce al non attaccamento, alla transitorietà, all’impermanenza della vita. Al gong risponde il suono di un grande pesce di legno percosso con un martello di legno. Nel Buddismo il pesce in questione è la carpa e lo si trova in numerose storie. Il suo significato è la pazienza e la perseveranza oltre al buon auspicio nella vita.

 

 Tetsugen Serra, Zen (Fabbri editori 2005).

 

 

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Hiroshige, Ponte Suido a Surugadai

 

«Hyogo, 5 maggio 1985

Stamani Hyogo è immersa nella limpida magnificenza di una luce indescrivibile, una luce vaporosa di primavera, che presta l’incanto di un’apparizione alle cose che si intravedono in lontananza attraverso di essa. Le forme restano nitide, ma sono quasi idealizzate da tenui colori che non sono i loro; e le grandi colline dietro alla città aspirano a un cristallino splendore di tinte che sembra lo spirito dell’azzurrità, più che l’azzurro stesso.

Sulle diagonali grigio-azzurre dei tetti appare un vasto fluttuare e fremere di forme straordinarie, uno spettacolo che in verità non mi è nuovo, ma è sempre incantevole. Ovunque fluttuano, legati ad altissimi pali di bambù, immensi pesci di carta variopinta, che si muovono e appaiono come se fossero vivi. La maggior parte sono lunghi da un metro e mezzo a quattro metri e mezzo; qua e là, però, vedo un pesciolino lungo poco meno di trenta centimetri, attaccato alla cosa di uno più grande. Certi pali recano quattro o cinque pesci, attaccati ad altezze proporzionali alle loro dimensioni, con il più grande sempre in cima. Questi oggetti hanno forme e colori così ingegnosi, che non mancano mai di colpire lo straniero. I fili che li trattengono sono fissati dentro la testa, e il vento, entrando nella bocca aperta, non solo gonfia il corpo facendo assumere loro una forma perfetta, ma li fa ondeggiare, salire e scendere, voltare e girare, esattamente come pesci veri, mentre la coda si muove e le pinne ondeggiano alla perfezione. Nel giardino del mio vicino di casa si vedono due bellissimi esemplari. Uno ha il ventre arancione e il dorso grigio-azzurro, l’altro è tutto di colore argenteo, ed entrambi hanno occhioni bizzarri. Il fruscio del loro movimento mentre nuotano nel cielo sembra il suono del vento tra le canne. Poco lontano vedo un altro pesce molto grande, con uno piccolo e rosso attaccato al dorso. Il pesciolino rosso rappresenta Kintoki, il bambino più forte mai nato in Giappone, che, ancora neonato, lottava con gli orsi e metteva le trappole per gli uccelli-elfi.

Tutti sanno che queste carpe di carta – o koi – si espongono solo nel periodo della grande festa dei bambini maschi, nel quinto mese; che la loro presenza sulla casa significa che è nato un figlio maschio; e che sono il simbolo della speranza dei genitori che il figlio sarà capace di farsi strada nel mondo attraverso tutti gli ostacoli, come il koi, la grande carpa giapponese, che risale i fiumi tumultuosi contro corrente. In molte zone del Giappone meridionale e occidentale i koi si vedono raramente. Si vedono invece delle bandiere di stoffa strette e lunghe dette nobori, allacciate perpendicolarmente, come le vele, con fettucce e anelli, a pali di bambù, e raffiguranti, in vari colori, il koi in un vortice, oppure Shoki, il vincitore dei demoni, o pini, o tartarughe, oppure altri simboli di buon auspicio».

 

Lafcadio Hearn, Kokoro (Luni editrice).

 

 

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